Mondo

L’analisi. La crisi vista da Filippo Andreatta. Quante rovine dietro il disimpegno

La guerra era sbagliata. Ma la fretta di uscire dal pasticcio rischia di provocare danni anche peggiori.

di Giuseppe Frangi

«Bagdad è nel caos. Ma, attenti, Al Qaeda è ben altra cosa». Filippo Andreatta, da esperto di politica internazionale, ha una sua interpretazione sugli ultimi fatti che hanno sconvolto la capitale irachena. «La strategia di Al Qaeda ha toccato il suo culmine con la strage al quartier generale dell?Onu. Oggi sono altri soggetti in campo, e con altre aspettative». Vita: Quali, professore? Filippo Andreatta: Bisogna guardare la situazione irachena in una prospettiva locale. La tecnica dei rapimenti, con stili criminali, è parte della storia politica di tanti Paesi dell?area. Pensiamo a quel che è stato in Libano negli anni 80. Oggi in Iraq c?è un drammatico elemento di instabilità in più: tra sunniti e sciiti chi perde sa di dover soccombere fisicamente all?avversario. Questo rende lecito il ricorso a tutti i mezzi, per il controllo dell?Iraq del futuro. E poi non sottovalutiamo l?esigenza di autofinanziarsi. Per la Francia la cifra del riscatto è abbordabile. Per una forza irachena è una somma enorme con cui finanziare le proprie attività future. Vita: Non è una visione troppo riduttiva? Andreatta: No. Perché il terrorismo ad alto livello non si imbarca in avventure dense di pericoli come il sequestro di persone. Questi invece sono episodi tipici di forze che hanno coperture locali, e che sguazzano in un Paese in piena anarchia. E che trovano obiettivi facili in chi si ritiene al sicuro, per non essersi macchiato di filoamericanismo. Vita: C?è stata una sottovalutazione del pericolo da parte delle ong e della Farnesina? Andreatta: No, non voglio dire questo. Ma ci si deve rendere conto che per la sicurezza personale non ci sono più garanzie. Quella certa immunità data dall?apoliticità è caduta: l?essere occidentali è, di per sé, un elemento di pericolo. Questo non significa che la scelta d?indipendenza non fosse una scelta legittima. Purtroppo il contesto è drammaticamente cambiato, a causa dell?ultimo errore fatto dalle forze dell?alleanza. Vita: E qual è? Andreatta: È questo disimpegno affrettato, con un Paese ancora tutto per aria, dal punto di vista sociale ed economico. Io non sono mai stato d?accordo con la guerra. Ma contesto la prospettiva fatalistica alla Bertinotti. E quindi avrei preferito un disimpegno più ragionato. Invece hanno tutti fretta di uscire da questo pantano, e così ai disastri già fatti ne aggiungono altri. Si può fare l?elenco dei pasticci di questo dopoguerra: la ?debaathizzazione? a tappe forzate, la rinuncia al ruolo delle Nazioni Unite, il ricorso a truppe militari insufficienti che non riescono a mantenere il controllo del territorio e reagiscono in modo inconsulto al minimo accenno di pericolo. Vita: E le ong hanno un ?mea culpa? da fare? Andreatta: L?idea di neutralità era un?idea giusta e indiscutibile. Forse si doveva pretendere dal governo italiano il riconoscimento del proprio ruolo nella ricostruzione. Per avere almeno la garanzia di qualche protezione in più.


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